La contadina astuta, libretto, Napoli, 1734

 PUBLIO
                                                     I nomi ei chiude
355de’ rei che osar con temerari accenti
 de’ cesari già spenti
 la memoria oltraggiar.
 TITO
                                            Barbara inchiesta
 che agli estinti non giova e somministra
 mille strade alla frode
360d’insidiar gl’innocenti. Io da quest’ora
 ne abolisco il costume; e perché sia
 in avvenir la frode altrui delusa,
 nelle pene de’ rei cada chi accusa.
 PUBLIO
 Giustizia è pur...
 TITO
                                  Se la giustizia usasse
365di tutto il suo rigor, sarebbe presto
 un deserto la terra. Ove si trova
 chi una colpa non abbia o grande o lieve?
 Noi stessi esaminiam. Credimi, è raro
 un giudice innocente
370dell’error che punisce.
 PUBLIO
                                           Hanno i castighi...
 TITO
 Hanno, se son frequenti,
 minore autorità. Si fan le pene
 familiari a’ malvagi. Il reo s’avvede
 d’aver molti compagni. Ed è periglio
375il pubblicar quanto sian pochi i buoni.
 PUBLIO
 Ma v’è signor chi lacerare ardisce
 anche il tuo nome.
 TITO
                                     E che perciò? Se ’l mosse
 leggierezza, nol curo,
 se follia, lo compiango,
380se ragion, gli son grato; e se in lui sono
 impeti di malizia, io gli perdono.
 PUBLIO
 Almen...
 
 SCENA IX
 
 SERVILIA e detti
 
 SERVILIA
                   Di Tito al piè...
 TITO
                                                Servilia! Augusta!
 SERVILIA
 Ah signor, sì gran nome
 non darmi ancora. Odimi prima. Io deggio
385palesarti un arcan.
 TITO
                                     Publio ti scosta
 ma non partir. (Publio si ritira)
 SERVILIA
                               Che del cesareo alloro
 me, fra tante più degne,
 generoso monarca inviti a parte,
 è dono tal che destaria tumulto
390nel più stupido core. Io ne comprendo
 tutto il valor. Voglio esser grata e credo
 doverlo esser così. Tu mi scegliesti
 né forse mi conosci. Io che tacendo
 crederei d’ingannarti
395tutta l’anima mia vengo a svelarti.
 TITO
 Parla.
 SERVILIA
              Non ha la terra
 chi più di me le tue virtudi adori;
 per te nutrisco in petto
 sensi di meraviglia e di rispetto.
400Ma il cor... Deh non sdegnarti.
 TITO
                                                         Eh parla.
 SERVILIA
                                                                            Il core
 signor non è più mio. Già da gran tempo
 Annio me lo rapì. L’amai che ancora
 non comprendea d’amarlo; e non amai
 altri finor che lui. Genio e costume
405unì l’anime nostre. Io non mi sento
 valor per obbliarlo; anche dal trono
 il solito sentiero
 farebbe a mio dispetto il mio pensiero.
 So che oppormi è delitto
410d’un cesare al voler; ma tutto almeno
 sia noto al mio sovrano;
 poi, se mi vuol sua sposa, ecco la mano.
 TITO
 Grazie o numi del ciel. Pure una volta
 senza larve sul viso
415mirai la verità. Pur si ritrova
 chi s’avventuri a dispiacer col vero.
 Servilia, oh qual contento
 oggi provar mi fai! Quanta mi porgi
 ragion di meraviglia! Annio pospone
420alla grandezza tua la propria pace!
 Tu ricusi un impero
 per essergli fedele! Ed io dovrei
 turbar fiamme sì belle? Ah non produce
 sentimenti sì rei di Tito il core.
425Figlia, che padre invece
 di consorte m’avrai, sgombra dall’alma
 ogni timore. Annio è tuo sposo. Io voglio
 stringer nodo sì degno. Il ciel cospiri
 meco a farlo felice; e n’abbia poi
430cittadini la patria eguali a voi.
 SERVILIA
 Oh Tito! Oh Augusto! Oh vera
 delizia de’ mortali! Io non saprei
 come il grato mio cor...
 TITO
                                            Se grata appieno
 esser mi vuoi Servilia, agli altri inspira
435il tuo candor. Di pubblicar procura
 che grato a me si rende
 più del falso che piace il ver che offende.
 
    Ah se fosse intorno al trono
 ogni cor così sincero,
440non tormento un vasto impero
 ma saria felicità.
 
    Non dovrebbero i regnanti
 tolerar sì grave affanno
 per distinguer dall’inganno
445l’insidiata verità. (Parte)
 
 SCENA X
 
 SERVILIA e VITELLIA
 
 SERVILIA
 Felice me!
 VITELLIA
                       Posso alla mia sovrana
 offrir del mio rispetto i primi omaggi?
 Posso adorar quel volto
 per cui d’amor ferito
450ha perduto il riposo il cor di Tito?
 SERVILIA
 (Che amaro favellar! Per mia vendetta
 si lasci nell’inganno). Addio.
 VITELLIA
                                                      Servilia
 sdegna già di mirarmi!
 Oh dei! Partir così! Così lasciarmi!
 SERVILIA
 
455   Non ti lagnar s’io parto
 o lagnati d’amore
 che accorda a quei del core
 i moti del mio piè.
 
    Alfin non è portento
460che a te mi tolga ancora
 l’eccesso d’un contento
 che mi rapisce a me. (Parte)
 
 SCENA XI
 
 VITELLIA e poi SESTO
 
 VITELLIA
 Questo soffrir degg’io
 vergognoso disprezzo! Ah con qual fasto
465già mi guarda costei! Barbaro Tito
 ti parea dunque poco
 Berenice antepormi? Io dunque sono
 l’ultima de’ viventi! Ogn’altra è degna
 di te fuor che Vitellia! Ah trema ingrato
470trema d’avermi offesa. Oggi il tuo sangue...
 SESTO
 Mia vita.
 VITELLIA
                    E ben che rechi? Il Campidoglio
 è acceso? È incenerito?
 Lentulo dove sta? Tito è punito?
 SESTO
 Nulla intrapresi ancor.
 VITELLIA
                                            Nulla! E sì franco
475mi torni innanzi? E con qual merto ardisci
 di chiamarmi tua vita?
 SESTO
                                             È tuo comando
 il sospender il colpo.
 VITELLIA
                                        E non udisti
 i miei novelli oltraggi? Un altro cenno
 aspetti ancor? Ma ch’io ti creda amante
480dimmi come pretendi,
 se così poco i miei pensieri intendi?
 SESTO
 Se una ragion potesse
 almen giustificarmi...
 VITELLIA
                                          Una ragione!
 Mille ne avrai, qualunque sia l’affetto
485da cui prenda il tuo cor regola e moto.
 È la gloria il tuo voto? Io ti propongo
 la patria a liberar. Frangi i suoi ceppi,
 la tua memoria onora,
 abbia il suo Bruto il secol nostro ancora.
490Ti senti d’un’illustre
 ambizion capace? Eccoti aperta
 una strada all’impero. I miei congiunti,
 gli amici miei, le mie ragioni al soglio
 tutte impegno per te. Può la mia mano
495renderti fortunato? Eccola, corri,
 mi vendica e son tua. Ritorna asperso
 di quel perfido sangue e tu sarai
 la delizia, l’amore,
 la tenerezza mia. Non basta? Ascolta
500e dubita, se puoi. Sappi che amai
 Tito finor, che del mio cor l’acquisto
 ei t’impedì, che se rimane in vita
 si può pentir, ch’io ritornar potrei,
 non mi fido di me, forse ad amarlo.
505Or va’; se non ti muove
 desio di gloria, ambizione, amore,
 se toleri un rivale
 che usurpò, che contrasta,
 che involar ti potrà gli affetti miei,
510degli uomini il più vil dirò che sei.
 SESTO
 Quante vie d’assalirmi!
 Basta, basta, non più; già m’inspirasti
 Vitellia il tuo furore; arder vedrai
 fra poco il Campidoglio e quest’acciaro
515nel sen di Tito... (Ah sommi dei qual gielo
 mi ricerca le vene!)
 VITELLIA
                                       Ed or che pensi?
 SESTO
 Ah Vitellia.
 VITELLIA
                        Il previdi;
 tu pentito già sei.
 SESTO
                                   Non son pentito
 ma...
 VITELLIA
             Non stancarmi più. Conosco, ingrato,
520che amor non hai per me. Folle ch’io fui!
 Già ti credea, già mi piacevi e quasi
 cominciavo ad amarti. Agli occhi miei
 involati per sempre
 e scordati di me.
 SESTO
                                  Fermati, io cedo,
525io già volo a servirti.
 VITELLIA
                                        Eh non ti credo.
 M’ingannerai di nuovo. In mezzo all’opra
 ricorderai...
 SESTO
                         No, mi punisca amore,
 se penso ad ingannarti.
 VITELLIA
 Dunque corri, che fai? Perché non parti?
 SESTO
 
530   Parto ma tu ben mio
 meco ritorna in pace;
 sarò qual più ti piace,
 quel che vorrai farò.
 
    Guardami e tutto obblio
535e a vendicarti io volo;
 di quello sguardo solo
 io mi ricorderò. (Parte)
 
 SCENA XII
 
 VITELLIA, poi PUBLIO
 
 VITELLIA
 Vedrai, Tito, vedrai che alfin sì vile
 questo volto non è. Basta a sedurti
540gli amici almen, se ad invaghirti è poco.
 Ti pentirai...
 PUBLIO
                          Tu qui Vitellia! Ah corri,
 Cesare è alle tue stanze.
 VITELLIA
 Cesare! E a che mi cerca?
 PUBLIO
                                                 Ancor nol sai!
 Sua consorte ti elesse.